Questa intervista segue l’incontro con Dacia Maraini, insieme a Maria Borio e Simone Casini, che si è tenuto da Umbrò il 9 dicembre 2017.
La produzione letteraria degli anni Sessanta, cui appartiene il suo debutto, rifletteva un’epoca di scontri sociali, in cui personale e politico spesso si confondevano: la rivendicazione, anche tramite la dimensione letteraria, era una realtà plausibile. Nei decenni trascorsi sono cambiati gli appelli sociali e, insieme, i modi di scrivere. Lei come guardava in passato ai rapporti tra società e letteratura, e come li vede oggi?
Gli scontri sociali ci sono anche adesso. Solo che adesso non ci sono più le ideologie e le utopie ovvero la capacità di pensare progetti comuni collettivi e questo indebolisce e frantuma la società letteraria. Senza ideali comuni che condensano le passioni comuni si casca nel personalismo e nell’anarchia.
La comunità artistica in cui si è formata come autrice ha saputo fare un uso viscerale dell’italiano, lingua d’arte e di cultura, tra le prime più studiate al mondo per passione. Oggigiorno, invece, si va affermando la tendenza a non sfruttare le incommensurabili sfumature di questa lingua: il linguaggio mediatico, per esempio, fa un uso sfacciato di forestierismi di infondato prestigio, influenzando l’italiano quotidiano. Qual è, secondo lei, il futuro letterario della nostra lingua?
Spero che la lingua italiana si salvi. Montale diceva che era destinata a morire. Io voglio essere ottimista. Nonostante la deturpazione e la volgarizzazione della lingua parlata credo e voglio credere che l’italiano si salverà e sarà la letteratura e sarà il teatro a salvarla.
Nel suo ultimo libro “Tre Donne” (Rizzoli, 2017) è narrata la convivenza e il dialogo in equilibrio dinamico tra nonna, madre e nipote: tre donne che raffigurano tre fasi dell’esistenza femminile. Gesuina, Maria e Lori rappresentano rispettivamente una sessantenne consapevole, capace di apprezzarsi e di reinventarsi, una quarantenne disillusa ma molto sentimentale, e un’adolescente avvilita da una noia esistenziale. In questo senso, possiamo identificare questi personaggi come emblemi generazionali, rappresentanti di tre condizioni storiche della donna italiana?
Sinceramente non ho voluto fare un ritratto di tre generazioni, ma ho voluto raccontare una storia di famiglia e la storia di tre donne che non rappresentano le generazioni ma se stesse.
Nonostante le istanze femministe siano inevitabilmente mutate nel corso dei decenni, possiamo dire in quanto donne di aver valicato la necessità di una lotta? E qual è il valore di una letteratura di genere in questo contesto?
Il femminismo è stata una grande rivoluzione pacifica. Ha cambiato la cultura italiana da cima a fondo. Ne rimangono a testimonianza le tante leggi che sono cambiate nel senso della parità: il diritto di famiglia, il delitto d’onore, il divorzio, l’aborto, la legge contro la violenza sulle donne, e tante altre. Da quegli anni c’è stato un arretramento, non dal punto di vista delle leggi ma del costume.
Mi ricollego al personaggio di Lori e le chiedo: cosa pensa dei giovani d’oggi, che sembrano soffrire di un’apatia ideologica ed etica? La lettura può giocare un qualche ruolo nel recupero dei valori umani?
La letteratura può creare consapevolezza, non può cambiare il mondo.
Cosa pensa invece dei nuovi scrittori? C’è qualcosa di lei e della sua generazione che riconosce nei moderni autori italiani?
Ci sono molti giovani autori di talento che sanno raccontare le nuove realtà con sincerità e poesia.
13 dicembre 2017
Maristella Petti (1992) è nata e cresciuta a Bolsena. Spostatasi a Perugia per studiare lingue, è ora specializzanda in letterature luso-brasiliana e inglese e traduzione editoriale. La sua area di maggior interesse riguarda il connubio politica-letteratura brasiliana. Lavora dal 2015 come addetta di biblioteca presso l’Università degli Studi di Perugia.
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